Intervista Takoua Ben Mohamed

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Un fumetto per fotografare storie: intervista a Takoua Ben Mohamed

di Alessandra Rosabianca

Takoua Ben Mohamed arriva in Italia all’età di otto anni per ricongiungersi con il padre, rifugiato politico sfuggito alla dittatura di Ben Ali. Dotata di un talento naturale per il disegno e una spiccata sensibilità per i temi sociali e politici, già all’età di 14 anni dà vita al progetto online Fumetto Intercultura. 

Quando la rivoluzione abbatte la dittatura in Tunisia, può tornare nel suo paese natale per rimettere insieme i pezzi della sua storia familiare e realizzare  La rivoluzione dei gelsomini (BeccoGiallo, 2018), una delle sue opere più apprezzate. Il 10 ottobre di quest’anno ha presentato al Terra di Tutti Film Festival di Bologna il suo ultimo lavoro Un’altra via per la Cambogia, un “diario di bordo” in forma di graphic-novel, del suo viaggio nel cuore del sud-est asiatico insieme agli operatori della ONG WeWorld. Tra i vari riconoscimenti ottenuti, ricordiamo il Muslim International Book Award 2017 e il Moneygram Award 2016 e quello della comunità tunisina in Italia.

A noi non interessa se porta il velo oppure no. Non importa se è musulmana, cristiana o atea. Non fa differenza se è tunisina, italiana o cittadina del mondo. A noi interessa Takoua, la donna, la professionista, la persona determinata e generosa. La sognatrice che ha fatto del suo talento e delle sue esperienze di vita una forma d’arte, usata per sensibilizzare e promuovere consapevolezza.

Nelle tue interviste racconti spesso che hai iniziato a usare il disegno come mezzo di comunicazione sin da piccolissima. Questo ti è stato particolarmente utile appena arrivata in Italia, quando ancora non conoscevi la lingua. Quanto sono importanti le immagini per comunicare? 

«Non solo nel disegno, ma anche dal punto di vista giornalistico e cinematografico, l’immagine veicola la maggior parte dell’informazione trasmessa. È un mezzo di comunicazione molto potente perché riesce a trasmettere l’informazione anche a chi non sa leggere, dato che al mondo ci sono ancora tantissimi analfabeti. L’immagine, inoltre, ha il grande potere di raggiungere anche quelle persone che, pur sapendo leggere e scrivere, parlano un’altra lingua e che proprio grazie a all’immagine riescono comunque a cogliere il messaggio. Per esempio mi sono accorta di avere tantissimi followers su Instagram dal mondo arabo, in America e in Asia che pur non parlando italiano riescono a capire i miei fumetti. È lì che ho colto veramente l’importanza dell’immagine: che sia fotografata o disegnata, è la chiave, la parte più importante della comunicazione. E questo è particolarmente vero oggi, nell’epoca dei social network.»

Nei tuoi fumetti parli molto di te e della tua storia personale e familiare, come in La Rivoluzione dei gelsomini. In un certo senso i tuoi fumetti sono delle istantanee di vita vissuta, in questo caso la tua e dei tuoi familiari. Cosa ti ha spinto a parlare di te e della tua storia, a renderla pubblica e a condividere esperienze così personali?

«Sono arrivata in Italia a 8 anni e durante tutta la mia adolescenza non sono mai ritornata in Tunisia. Allora sapevo molto poco sul mio Paese o sulle mie origini. Nonostante ciò, i miei professori e i miei compagni di classe continuavano a ricordarmi che ero “tunisina”. Come facevano a vedermi in quel modo, se nemmeno io sapevo cosa volesse dire essere tunisina? A loro questo non interessava, per loro ero semplicemente “l’altro”. E sentivo che sarebbe sempre stato così, che non sarei mai potuta diventare come loro. Per me questo ha rappresentato una spinta fortissima per scoprire chi sono, per ricostruire la mia identità e dare un senso a quell’essere “altro”, andandolo a riempire di significati più profondi. La rivoluzione poi ha reso questo desiderio possibile (la Rivoluzione tunisina del 2010-2011, nota come Rivoluzione dei gelsomini [N.d.A.]). Con la rivoluzione, infatti, è arrivata non solo la voglia di raccontare, ma anche la possibilità di farlo.  Fino a quel momento avevo molte domande senza risposte, vissuti inconsapevoli, e segreti di cui non potevo parlare. Avevo un peso che mi portavo dentro da tanti anni. Il libro per me è stato un’occasione per andare a cercare le risposte, e condividere un passato che per tanto tempo è stato censurato. Così ho deciso di andare in Tunisia per conoscerne meglio la storia e le persone. Ho parlato con gli ex-detenuti e avuto accesso a molti archivi storici e fotografici. Ho potuto parlare con i miei cugini e i miei familiari, e ho scoperto cose su di me che nemmeno conoscevo. In questo senso quel libro ha rappresentato un percorso personale molto intimo. Ma sentivo anche l’esigenza di condividere parte della mia storia e, attraverso di essa, far conoscere molte cose sulla Tunisia che per tanto tempo sono state taciute. Era arrivato il momento di rompere quel silenzio.»

Il disegno è sempre stato un tuo talento naturale.  L’hai coltivato con studio e determinazione e, trovando nel graphic journalism lo stile che più ti è proprio, ne hai fatto uno strumento di informazione, denuncia e trasformazione sociale. Quale è stato il tuo percorso?

«Ho sempre saputo quello che avrei voluto fare nella vita, solo che all’inizio non venivo presa sul serio. Col tempo, vedendomi così determinata, la mia famiglia mi ha dato tutto l’appoggio di cui avevo bisogno. In questo sono stata molto fortunata, perché i miei genitori e i miei fratelli hanno sempre creduto in me. Purtroppo questo non accade a tutti, al di là della cultura e della religione. Poi, quando ho iniziato a pubblicare i miei primi lavori, ho dovuto affrontare la difficoltà di essere riconosciuta come professionista. Ricordo che, nei primi articoli che uscivano su di me, non mi chiamavano nemmeno per nome, ma ero “la ragazza con il velo che fa fumetti”. Ancora una volta non venivo vista per quella che ero, ma piuttosto come un fenomeno. Per me invece è importante essere riconosciuta come Takoua l’artista, al di là del fatto che porto il velo o che sono una seconda generazione. Sempre in quel periodo ero la prima graphic journalist donna a pubblicare dei lavori, e non è stato facile ritagliarmi il mio spazio in un mondo soprattutto al maschile. All’inizio sono dovuta scendere a compromessi, ma piano piano, ho cominciato ad aumentare il mio potere personale e a far valere il mio punto di vista e i miei interessi. Adesso lavoro periodicamente su argomenti sociali e politici, e ho il mio posto fisso su alcune riviste dove tratto questi temi, in particolare su Il Piccolo Missionario e Confronti. È stato faticoso, ma oggi finalmente faccio quello che ho sempre sognato sin da piccola!» 

Sei sempre stata una persona molto impegnata a livello politico, e anche i tuoi lavori esprimono questo impegno. Quanto credi sia importante la partecipazione civica e quale la trasformazione sociale che ti auguri?

«Con i miei fumetti cerco soprattutto di promuovere consapevolezza. È a partire da qui che poi uno decide se cambiare e in quale direzione. Un fumetto non può essere esaustivo, ma può suscitare curiosità su un determinato argomento. È quello che cerco di fare io, con la speranza poi che le persone approfondiscano gli argomenti che tratto. Prendiamo per esempio il mio ultimo lavoro Un’altra via per la Cambogia, reportage a fumetti edito da BeccoGiallo, in cui racconto il lavoro della ONG WeWorld impegnata in Cambogia e la storia di moltissimi cambogiani vittime di trafficanti di esseri umani. Con questo libro non cerco il cambiamento, vorrei piuttosto rendere le persone consapevoli di ciò che succede in quella parte del mondo e far uscire dall’invisibilità persone che rischiano di essere dimenticate.Mi piace rivolgermi soprattutto ai giovani, sono loro il mio pubblico privilegiato. È fondamentale sensibilizzare le persone fin da piccole perché, più siamo consapevoli sin da bambini di ciò che accade nel mondo, e maggiori saranno le possibilità di costruire un futuro migliore.»

La tua è certamente una storia di resilienza. Anche se probabilmente sarebbe più corretto parlare di «sviluppo attivato dalle avversità» (R.K. Papadoupolus, 2008), cioè quella crescita che viene stimolata proprio dal fatto di aver attraversato delle difficoltà nella vita. Come ci sei riuscita e che consiglio hai da dare a chi vive momenti difficili? 

«Molto dipende dal carattere di una persona e dalle sue esperienze di vita. Come dicevo, io sono stata fortunata perché ho sempre avuto il sostegno della mia famiglia. Inoltre ho la capacità, in qualunque situazione o parte del mondo mi trovi, di cogliere somiglianze piuttosto che differenze. Concentrami su ciò che mi accomuna e che condivido con gli altri, anziché soffermarmi su ciò che ci divide, per me ha sempre rappresentato un punto di forza. Sento di avere la capacità, come essere umano e giornalista, di mettermi nei panni dell’altro e di favorire un clima che incoraggia la comunicazione. Cerco di promuovere reciprocità e di superare la visione etnocentrica, restituendo parità tra le parti, accorciando distanze sociali e culturali. Mi capita di ricevere richieste di consigli su Instagram, soprattutto da parte di ragazze che stanno attraversando momenti difficili. Il mio consiglio è di non mollare! Anche se a volte i problemi sembrano enormi, a guardarli bene non lo sono poi così tanto, e non esiste niente di insuperabile. Relativizzare! Allo stesso modo possiamo riuscire a costruire qualcosa di grande anche a partire dalle piccole cose.»

Grazie Takoua!

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