Quando la fotografia diventa trasformazione sociale: intervista a Mohamed Keita

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Quando la fotografia diventa trasformazione sociale: intervista a Mohamed Keita

di Alessandra Rosabianca

Mohamed Keita è un fotografo ivoriano di 26 anni. Rifugiato politico, nel 2010 arriva a Roma, dove vive tutt’ora. L’incontro con la fotografia rappresenta una svolta, divenendo presto una professione, che Mohamed decide di condividere con gli altri usando l’arte come strumento di ricerca urbana e come mezzo di trasformazione sociale.  Avvia così, grazie all’incontro con Fondazione Pianoterra, dei laboratori di fotografia in Mali e in Kenia. Le sue fotografie hanno ottenuto vari riconoscimenti e sono state esposte in numerose mostre, sia in Italia che all’estero. Abbiamo avuto il piacere di intervistarlo.  

Mohamed, come è avvenuto l’incontro con la fotografia?

Ero arrivato a Roma come richiedente asilo e, non avendo dove vivere, dormivo per strada. Di giorno frequentavo il Civico Zero, spazio di accoglienza e inclusione. Tra i vari servizi che offrivano, era stato attivato anche un laboratorio di fotografia. Una volta a settimana un volontario di Salerno ci insegnava a usare la macchina fotografica. Io mi sono subito appassionato! Questo mio interesse era così evidente, che altri volontari del centro  mi hanno regalato una macchina fotografica. Ho iniziato così a scattare le mie prime foto, che sono state poi sviluppate ed esposte proprio al Civico Zero. Capitava che passassero di lì dei professori di una scuola privata di fotografia e, vedendo le mie foto, mi hanno offerto una borsa di studio per frequentare i loro corsi. Ho iniziato in questo modo a studiare fotografia, studio che poi ho deciso di approfondire iscrivendomi all’ istituto di Istruzione Superiore Statale Cine-tv Roberto Rossellini.

Perché l’incontro con la fotografia ha rappresentato per te una svolta?

Ha rappresentato una svolta perché prima c’erano delle cose che non riuscivo a trasmettere. Poi la macchina fotografica me ne ha dato la possibilità. Ho trovato un linguaggio nuovo, universale, per comunicare quello che avevo dentro.

In che modo la fotografia è per te mezzo di trasformazione sociale?

Per me la fotografia è una chiave, uno strumento di conoscenza, condivisione e tolleranza.

Hai parlato della fotografia come di un punto di partenza verso un’educazione primaria e un accrescimento culturale e hai dato vita a Kené come occasione di formazione e di crescita. Secondo te, qual è la cosa più importante che i ragazzi che frequentano i tuoi laboratori dovrebbero imparare?

Il potere delle immagini. È importante che capiscano cosa può fare un’immagine. E lasciarsi sorprendere. È una fonte incredibile di conoscenza e di scoperta. La macchina fotografica ti dà la possibilità di conoscere prima di tutto te stesso. Conoscendo te stesso, ti aiuta poi a conoscere gli altri. Se non sai chi sei, è difficile riuscire a conoscere gli altri.

Cosa insegni nei tuoi laboratori?

Insegno la fotografia e a usare la macchina fotografica. Ma non insegno solamente la tecnica. Nei miei laboratori metto a disposizione la mia esperienza di vita, il mio vissuto. È questo che mi permette di entrare in contatto con i ragazzi che frequentano i miei laboratori. Ho il dovere di fare il poco che posso. Sento di dover condividere il regalo che è stato fatto a me e le opportunità che mi sono state concesse. Non solo insegno alle persone e le formo, ma chiedo loro di fare lo stesso, perché mettano in circolo la conoscenza. È importante non solo ricevere, ma anche condividere!

E tu cosa hai scoperto di te grazie alla fotografia?

A essere curioso. Ti fa venire voglia di approfondire la conoscenza degli altri. Non ti basta guardare, vuoi anche sapere. Mi ha permesso di condividere il mio vissuto con persone diverse e a non dimenticare da dove sono partito. Abbracciare altre storie ti aiuta a non dimenticare.

Come sono cambiate per te l’ Africa e l’Italia dopo averle guardate attraverso la macchina fotografica?  

Sono due culture molto diverse. C’è differenza tra guardarle con interesse o senza interesse. La macchina fotografica ti dà la possibilità di approfondire lo sguardo, senza passarci sopra. All’inizio ero diviso tra due culture così distanti. In bilico. La fotografia mi ha dato la possibilità di avvicinare i due mondi, lasciando uno spazio di rispetto. E ho ritrovato un equilibrio che mi ha permesso di vivere appieno le due appartenenze.

Se la macchina fotografica fosse un megafono, cosa vorresti far sapere al mondo?

Andate oltre le diversità e guardate ciò che ci unisce!

Grazie Mohamed!

Portfolio di Mohamed Keita www.mohamedkeita.it

Fondazione Pianoterra www.fondazionepianoterra.net

Civico Zero www.civicozero.eu