Il paesaggio umano di Franco Arminio

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intervista di Alessandra Rosabianca (foto per concessione di F. Arminio)

Franco Arminio è considerato uno dei poeti più importanti del nostro Paese. Scrittore e regista, oltre che poeta, si è autodefinito “paesologo”: una figura nuova che incarna attenzione e scoperta, ascolto e cura, dolcezza e ritmo. Nei suoi versi abbiamo ritrovato alcuni dei principi che ispirano il nostro lavoro, dove i paesaggi sono per noi le persone e i loro mondi, per questo abbiamo deciso di andare a scoprire il paesaggio umano di Franco Arminio.  Al telefono ci ha risposto con una disponibilità disarmante, senza attese né indugi. Ed è lì che si rintraccia la prima somiglianza tra lui e i luoghi di cui parla: la disponibilità a lasciarsi visitare e a farsi guardare, anche nell’intimo. E, come le sue terre e i suoi paesi, è autentico. Nel dialogare con lui siamo partiti dalla natura e da questo tempo presente che ha alterato la nostra quotidianità, di cui Franco Arminio ha scritto molto, regalandoci un decalogo contro la paura e “il rischio che il panico diventi una forma di intrattenimento”. Nel domandargli se la natura ci può aiutare a controllare meglio le nostre paure e a godere di più della vita, ci risponde restituendo a ognuno la propria soggettività e ci ricorda come i vissuti cambiano da individuo a individuo. Aggiunge poi:

“La campagna è il nostro ambiente: siamo un pezzo di natura e la natura è un pezzo di noi. Purtroppo ci siamo allontanati dalla natura e abbiamo rotto un’alleanza con lei. Ora ci sarebbero le condizioni, grazie alle moderne conoscenze, per difenderci dai suoi insulti involontari e proteggerci da quello che un tempo era pericoloso e recuperare questa alleanza.”

Ci propone quindi una conciliazione tra tecnologia e natura, lasciandoci intuire una capacità sorprendente di tenere insieme ciò che è apparentemente inconciliabile, e che siamo curiosi di andare a esplorare. Lui stesso si definisce una “creatura dell’urgenza” e Valentina Pigmei, in un articolo uscito su Internazionale il 2 gennaio 2020, lo ha chiamato “anima svelta”, dove la lentezza non è prevista nei suoi movimenti. Gli chiediamo allora come sia possibile far convivere una tale velocità con quell’attenzione di cui parla spesso.

C’è un ritmo per ogni cosa e ognuno deve trovare la forma adatta al proprio ritmo. Non c’è una velocità assoluta che va bene per ogni cosa: sostituire un pensiero a un altro non è la soluzione, piuttosto è importante riuscire a far convivere visioni e ritmi in una pluralità. L’attenzione ci aiuta ad ascoltare il giusto ritmo e a regolare le velocità.”

Leggendo di lui ci eravamo fatti l’idea che fosse l’uomo degli ossimori e dei confini. Lui stesso si è definito un “famoso sconosciuto”, viene da Bisaccia, un paese tra Campania e Puglia, la sua scrittura è a metà tra prosa e poesia. Per questo gli abbiamo chiesto come fosse per lui tenere insieme e contenere i contrari, essere sul confine.

Probabilmente questa è la mia forma, e io cerco di abitarla. Ognuno deve capire la propria. Per esempio mi interessano sia le passioni civili che quelle intime e cerco di coltivarle entrambe. Non posso ridurmi a una cosa sola se contengo molteplicità. Non è un modello precostituito, con il tempo riesci a vedere sempre meglio il paesaggio di cui sei  composto. Non la puoi costruire questa postura, va solo scoperta.” 

Le poesie di Franco Arminio assomigliano a delle istantanee che ci permettono di essere lì, dentro a quel paesaggio che lui descrive in versi. Il nostro processo invece è opposto: con la fotografia promuoviamo una narrazione fatta di attenzione al mondo che esiste fuori e dentro di noi. Crediamo nella capacità creativa di ciascuno come spinta verso l’autorealizzazione e la incoraggiamo. Siamo interessati a sapere cosa un poeta pensa della creatività come strumento per osservare ed esprimere se stessi, e lui ci parla della forma d’arte che più gli è propria: la scrittura.

“Io mi sono sostenuto con la scrittura. Ogni volta che subisco un insulto dalla vita lo riparo con la scrittura e riesco a espellerlo. È un po’ come per la defecazione: ci permette di eliminare le scorie. Quello dello scrivere è un gesto che dovrebbe essere molto diffuso, che poi uno ci tragga da vivere non è quello il punto. Scrivere è anche un meccanismo per camminare dentro noi stessi,  una risorsa importante in questo momento in cui dobbiamo restare a casa: grazie alla scrittura abbiamo l’opportunità di muoverci comunque.”

Con lui condividiamo l’idea che la creatività, nelle sue molteplici forme, dovrebbe essere sostenuta e incoraggiata, strumento di espressione e liberazione. Ed è per questo che abbiamo scelto la fotografia e l’abbiamo coniugata alla psicologia, per offrire la possibilità di guardare le cose da punti di vista diversi e provare a raccontarle in modo nuovo.

“Io personalmente guardo a un’altra poetica e mi auguro che prevalga una nuova filosofia rispetto a quella in voga ora, basata sul produrre e consumare. Quello che è successo ci dimostra che ci possiamo fermare per poi riprendere in maniera più saggia, e riuscirci facendo appello all’immaginazione. Per trovare le soluzioni ci vuole uno scatto immaginativo e un’apertura all’impensato. Ci sono sempre nuovi problemi e nuove soluzioni: è un gioco continuo.”

Franco Arminio si lascia esplorare come un paesaggio, e noi proviamo a scendere più a fondo. Ha dichiarato di scrivere per riparare il vaso rotto e gli chiediamo qual è la crepa che sente più grande.

Ci sono crepe contingenti diverse per ognuno di noi. Nel mio caso io non ho mai accettato il fatto che si muoia, e che questo possa succedere all’improvviso. Mi scandalizza. Non riesco ad  accettarlo. So che può succedere, ma questo produce in me una rottura continua e ogni volta devo pensare al modo di riparare questa crepa. E tu la copri e lei si riapre. Ecco perché scrivo in continuazione, ma è anche quello che mi tiene vivo.”

Quindi non solo riparare, ma trasformare le ferite in opportunità. Vedere possibilità dove ci sono crepe, anche se ci invita prudentemente a non mitizzare la ferite, perché “se uno sta bene è meglio.”

“Il poeta è come lo psicologo: un restauratore. Un lavoro infinito perché nella vita ci sono ferite e crepe continue, anche se ci si può affrancare. Già il fatto che devi morire e che tendi a deperire è una cosa malinconica. Sin dall’inizio siamo in una vicenda che ha un brutto finale e, con il trascorrere del tempo, le cose naturalmente si complicano un po’. Ma ognuno può portare la luce nella propria vita.”

A conclusione della nostra intervista gli chiediamo come sia possibile sopportare meglio le proprie ferite e trasformarle in opportunità.

Pensare che le ferite sono provvisorie e come la felicità anche il dolore è provvisorio. Già questo atteggiamento mentale aiuta. E questo vale anche per la situazione che stiamo vivendo ora: dobbiamo pensare che questa cosa finirà, perché è così. E questo è vero per tutte le sofferenze, anche per quelle severe: o si guarisce o si muore, ma in ogni caso la sofferenza finisce. Io stamattina mi sono alzato che ero senza forze, avevo le gambe pesanti ed ero avvilito. Ed è stato così per tutta la mattina. Poi ho pranzato con del cibo buonissimo cucinato da mia moglie e sono stato meglio. Merito del buon cibo ma anche della cura di mia moglie, e questo mi ha messo dentro un po’ di felicità. È chiaro che è tutto commisurato al tipo di dolore che si prova e di disagio in cui sei immerso, ma certamente vedere il bello e la forza delle piccole cose aiuta. Spesso poi, mentre le stiamo vivendo, pensiamo di stare attraversando delle grandi tragedie e poi, quando passano, ci accorgiamo che non erano così gravi.”   

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